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La disinformazione climatica

9 gennaio 2025
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Strumenti utili

  • IPCC Focal Point Italia: sito che riporta una sintesi in italiano dei rapporti dell’Intergovermental Panel on Climate Change.
  • Cranky Uncle: gioco online che insegna ad acquisire familiarità con le tecniche usate della disinformazione sulla scienza (disponibile anche in italiano).
  • La sezione del sito della NASA dedicata al cambiamento climatico.
  • Breve manuale di debunking delle affermazioni antiscientifiche con traduzione in italiano.
  • Mappa interattiva sul rapporto tra eventi estremi e cambiamento climatico basata su studi scientifici.

LA NOSTRA GUIDA

Il consenso scientifico sul cambiamento climatico antropico, cioè la percentuale di scienziati che concordano sulla sua esistenza e sulle sue cause, è praticamente del 100%. L’esistenza di un ampio accordo tra gli esperti è stata dimostrata da alcuni studi che lo hanno calcolato con metodologie diverse. I più recenti tra questi hanno indicato una percentuale che di fatto coincide con l’unanimità del mondo scientifico, a partire dalla comunità di scienziati che si occupa più direttamente di scienze climatiche e atmosferiche.

Ciononostante, nella discussione pubblica continuano a circolare posizioni e tesi che non solo non rispecchiano quelle del consenso scientifico, ma lo mettono in discussione, contestando la sua stessa esistenza e facendo credere che gli esperti siano ancora divisi.  

I negazionisti, cioè coloro che rifiutano la realtà del cambiamento climatico di origine umana, hanno sempre cercato di dare l’impressione che il dibattito scientifico fosse ancora aperto. Hanno enfatizzato l’incertezza scientifica, per fare credere che le prove non fossero ancora sufficienti e solide per trarre delle conclusioni. Oppure hanno sostenuto che il riscaldamento globale avrebbe portato dei benefici e hanno difeso i combustibili fossili, la principale causa del riscaldamento globale, attaccando le politiche per ridurre o eliminare il loro uso come pericolose e anti-economiche. 

La disinformazione sulla scienza che riguarda il cambiamento climatico è, perciò, una delle armi principali impiegate da chi vuole negare la realtà e la gravità di questo problema.

Tecniche di disinformazione climatica

La disinformazione climatica sfrutta una varietà di argomentazioni e tattiche retoriche. Diversi studi hanno classificato gli argomenti negazionisti. Quelli che riguardano direttamente la scienza si possono raggruppare in tre principali categorie: gli argomenti che negano l’esistenza stessa del problema (“il riscaldamento globale non si sta verificando”), quelli che ne negano attribuzione (“gli esseri umani non stanno causando il riscaldamento globale”) e quelli che negano o minimizzano il suo impatto (“gli effetti del riscaldamento globale non sono gravi”).

A questi tre gruppi principali si possono aggiungere le argomentazioni che mettono in discussione l’integrità degli scienziati e quelle che prendono di mira le soluzioni, come le energie rinnovabili e le auto elettriche. Talvolta la disinformazione climatica può assumere connotati complottisti quando, per esempio, lega la questione del clima a presunti piani globali, attribuiti a entità, organizzazioni internazionali o personalità note e già al centro di varie teorie cospirative, come gli imprenditori Bill Gates e George Soros o l’attivista Greta Thunberg.

Un particolare esempio di narrazione complottista che coinvolge il cambiamento climatico è emersa durante la pandemia di COVID-19, quando sui social media si è iniziato a parlare di “lockdown climatici”. Secondo questa narrazione, le élite globali progettavano di sfruttare il cambiamento climatico come pretesto per limitare le libertà individuali. Le restrizioni rese necessarie dall’emergenza sanitaria sarebbero state un’anticipazione di quello che sarebbe successo in futuro.

In molti casi la disinformazione climatica si avvale di immagini e grafici distorti, manipolati o fuori contesto. Menziona e interpreta in modo scorretto e parziale dati forniti da enti e agenzie scientifiche, che riguardano per esempio l’andamento delle temperature in singole località o l’estensione dei ghiacci.

Negli ultimi anni si è assistito a una particolare circolazione di disinformazione climatica in occasione di calamità causate da eventi meteorologici estremi. L’obiettivo di questa disinformazione è quello di “normalizzare” questi eventi, escludendo a priori qualsiasi possibile collegamento con il cambiamento climatico.

Una figura ricorrente nella disinformazione climatica è quella del “falso esperto” o pseudoesperto. Si tratta di personalità che prendono posizioni pubbliche sul cambiamento climatico, facendosi portavoce di tesi contrarie a quelle del consenso scientifico, ma che nella quasi totalità dei casi non hanno nessuna competenza specifica sul clima. In molti casi, tuttavia, possono vantare curricula scientifici o ricoprono ruoli accademici e universitari, in varie discipline, e questi titoli possono essere sufficienti a renderli credibili agli occhi del grande pubblico.

C’è un’evidente discrepanza tra la visibilità mediatica di questi “esperti dissidenti” e la loro presenza nella letteratura scientifica. Queste persone, infatti, espongono le loro tesi quasi sempre attraverso interviste o articoli sulla stampa, in programmi televisivi o attraverso petizioni diffuse in Rete, cioè con modalità molto diverse da quelle che gli scienziati utilizzano per esporre i risultati delle loro ricerche e sottoporre le loro posizioni al vaglio della comunità scientifica. I pochi articoli che espongono tesi contrarie al consenso scientifico sul cambiamento climatico che si ritrovano nella letteratura scientifica sono spesso pubblicati da riviste di secondo piano e, in seguito alla loro pubblicazione, vengono criticati e smontati dagli esperti.

Prove scientifiche bersaglio della disinformazione

Come già osservato, la disinformazione climatica punta a contrastare praticamente l’intera scienza del cambiamento climatico. Uno dei suoi temi ricorrenti riguarda proprio le cause del riscaldamento globale, cioè le attività umane, in particolare le emissioni di gas serra causate dall’uso dei combustibili fossili, tra tutti l’anidride carbonica (CO2). I negazionisti hanno spesso chiamato in causa il Sole e i vulcani, come spiegazioni alternative, ma si tratta di tesi in contrasto con le evidenze.

La scienza è ormai certa del ruolo svolto dalla CO2 nell’aumento recente della temperatura globale. Questo è dimostrato, innanzitutto, dalla fisica dell’effetto serra, che ha chiarito il meccanismo attraverso cui la presenza nell’atmosfera di gas come la CO2 rende possibile l’accumulo del calore, dovuto alla radiazione proveniente dal Sole, sulla superficie terrestre, nell’aria e negli oceani. Più gas serra nell’atmosfera, significa dunque, in sostanza, più energia e più calore.

Sappiamo con altrettanta certezza che la concentrazione di gas serra nell’atmosfera sta aumentando. Dalla fine degli anni ‘50 viene misurata strumentalmente la concentrazione atmosferica di CO2, che è aumentata del 50% dall’inizio della Rivoluzione Industriale, tra la fine del Settecento e l’inizio dell’Ottocento, cioè da quando gli esseri umani hanno iniziato a sfruttare sempre più massicciamente i combustibili fossili.

Nel frattempo è anche aumentata la temperatura media della Terra, un altro fenomeno che misuriamo strumentalmente. Registriamo, quindi, una chiara correlazione temporale tra le due tendenze – aumento di gas serra e aumento della temperatura media globale – una correlazione temporale a cui possiamo associare anche una correlazione causale.

La ricerca nel campo della climatologia ha dimostrato che la CO2  atmosferica è uno dei principali fattori che hanno governato il clima della Terra nel corso della sua storia, una sorta quindi di manopola, come viene definita, che ha un ruolo centrale nel modulare le variazioni climatiche.

La disinformazione climatica ha anche messo in discussione l’affidabilità dei modelli climatici e la loro capacità di comprendere l’evoluzione di un sistema climatico terrestre. Tuttavia i modelli climatici si sono dimostrati molto affidabili per la comprensione del clima e della sua evoluzione. Se si valutano le prestazioni dei modelli climatici pubblicati dagli anni Settanta riguardo alle loro proiezioni dell’aumento della temperatura, si nota che i loro risultati sono stati vicini a ciò che è realmente accaduto, sono stati cioè generalmente piuttosto efficaci nel prevedere l’aumento della temperatura osservato negli ultimi decenni. 

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